TE LA DO ME LA MERICA – Il film e la storia
«Te la do me la Merica!» (Te la
do io l’America). Da ragazzino, era questa una frase ricorrente di mia madre,
di fronte a qualche mia richiesta non realizzabile o che andava oltre lo stile
di vita di una famiglia operaia.
Nel secolo scorso l’America era
il miraggio dei nostri emigranti, alla ricerca di una vita migliore e
nell’immaginario collettivo rappresentava e forse ancora oggi rappresenta il
mondo libero, la nazione che realizza i sogni impossibili, dove chiunque può
dal nulla, grazie alle sue capacità, emergere e diventare qualcuno.
American dream dicono gli
americani. Forse è solo un sogno.
E sogno rimase per i lavoratori
della fabbrica di camicie Triangle Waist Company di New York in quel fatidico
25 marzo 1911. Fu il più grave incidente industriale della storia di New York.
Nel rogo della fabbrica morirono 146 lavoratori, di cui 123 donne, soprattutto
immigrate italiane ed ebree. I lavoratori erano stati chiusi a chiave. Bassa
retribuzione, zero diritti, sicurezza nulla.
Dopo la tragedia si mosse la
politica, i sindacati, ci fu un processo. Tutti assolti i proprietari. Ma
ancora oggi ricordiamo quel fatto tragico perché è diventato (8 marzo) la
giornata mondiale della donna.
Durante le ricerche per un’iniziativa
con l’Associazione culturale Università del Monte di Brianza, legata alla donna
brianzola del secolo scorso, al lavoro e alla condizione femminile delle nostre
nonne, siamo incappati in un fatto simile a quello americano. Altrettanto
tragico, anche se con un numero di morti decisamente inferiore, ma successo
prima del rogo di New York, qui a Oggiono e, come spesso accade, dimenticato.
Si torna indietro di oltre 100
anni, nel 1898.
Il periodo storico a cavallo fra
l’Unità d’Italia e l’inizio della Prima Guerra Mondiale vede il territorio
lecchese, rispetto al resto dell’Italia ancora legato all’agricoltura, già
fortemente industrializzato e con un’occupazione oltre la media nazionale,
soprattutto nei settori serico e meccanico. L’Italia era al primo posto, a
livello mondiale, per la produzione e la lavorazione della seta, e a questo
contribuivano molto le fabbriche del nostro territorio. Nelle filande e nei
filatoi erano occupate migliaia di persone, per lo più donne e, nonostante la
legge vietasse il lavoro minorile, anche molte bambine. Spesso le scuinere (scopinatrici) erano ragazzine
di otto, nove anni.
Purtroppo quel periodo corrispose
anche all’inizio di una crisi irreversibile del settore, alle prese con
ostacoli creditizi e monetari, con la concorrenza giapponese e delle fibre
artificiali, della disorganizzazione industriale, che determinarono uno
sfruttamento della manodopera spesso malpagata e che porterà comunque, nel giro
di trent’anni, alla chiusura di tutti gli opifici.
Il lavoro in filanda era duro: 14
ore al giorno e il salario oltremodo basso: 1 lira, 1 e 20 al giorno, di media,
nelle fabbriche Oggionesi, a Lecco 1 lira e 30. Per le bambine la paga era oltremodo
irrisoria. Nel libro “La mia Oggiono” dell’indimenticato maestro Franco Pirola
è riportata la testimonianza significativa di Sofia Gerosa, soprannominata Sufia del filandon. Nella sua vecchiaia
ricordava di aver lavorato da bambina, tutto il suo primo anno per dü scusà, due grembiuli. Ma c’era la
crisi, prendere o lasciare.
La tragedia successe la mattina
del 1 febbraio 1898, 117 anni fa.
Fin dalla notte precedente, una
terribile bufera di vento aveva spazzato tutto il nord Italia, in modo particolare
il comasco e la bergamasca. La striscia di Brianza, quella dei laghi, fu sconvolta
da un terribile ciclone. Una testimone oculare raccontò che fin dalla notte il
tempo prometteva poco di buono, il
vento non aveva mai smesso di soffiare e in paese tutti vegliavano. Il 1
febbraio era di martedì, un giorno lavorativo e la gente brianzola, sia che piove,
sia che nevica o tempesta o c’è un uragano in atto, va al lavoro regolarmente.
Solo le S.S. Quarantore, esposte nei paesi vicini tennero a casa un po’ di
donne. E fu la loro salvezza.
Nella sola Oggiono, nonostante la
crisi, c’erano 5 grosse filande e 8 filatoi che occupavano un migliaio di
persone. La particolarità è, che 4 di questi opifici, erano costruiti nel
centro storico del borgo, muro a muro con le abitazioni civili.
Al Filandun si accedeva da via Locatelli; la filanda Amati era in via
Giacinto Longoni, dove adesso si trova la carrozzeria Nava; la filanda della “Brusadeluna” in via Lazzaretto; la
filanda del signor “Briuschen” in
Piazzola (l’edificio del vecchio Oratorio). La quinta era la filanda di Bagnolo
del signor Donegana.
Solo il giorno successivo,
l'entità del disastro si delineò in tutta la sua tragicità. Tralasciamo le
drammatiche notizie giunte dalla bergamasca, dove per la bufera, i crolli
interessarono le locali filande, ma concentriamoci su quello che successe nel raggio
di pochi chilometri tra Oggiono e Cesana. A Cesana crollò il fumaiolo alto 15 metri della filanda del
signor Giulio Ronchetti che sfondando metà della tettoia della filanda, uccise
3 operai.
La tragedia peggiore, come numero
di vittime però fu a Oggiono. Verso le otto di mattina l’uragano infuriò sulla
chiesa prepositurale, il campanile crollò, sfondò il tetto ammassando il
materiale sul pavimento. Fortunatamente in chiesa non c’era nessuno, avendo il
Prevosto, proprio in quel giorno, spostato alle sei la messa delle otto (ricordo
che c’erano le S.S. Quarantore nei paesi vicini e il Prevosto era impegnato con
i parroci dei paesi limitrofi).
Il crollo del campanile deve
essere stato come una bomba. Contemporaneamente le sirene degli stabilimenti
davano l’allarme creando in paese la stessa sensazione che precede un
bombardamento aereo.
Volavano le tegole, i camini. Gli
alberi erano sradicati dal terreno.
Alla filanda Amati, i dirigenti,
memori di un incidente già accaduto in precedenza, fecero prontamente evacuare
la fabbrica e non si ebbero vittime. «A casa, presto, andate a casa tutti!»
E i lavoratori non se lo fecero
ripetere perché temevano anche per le loro abitazioni. Ma la tragedia era lì ad
aspettarli. Tutti i caminoni, le ciminiere delle 4 filande del paese crollarono
contemporaneamente. Purtroppo la ciminiera della filanda Brusadelli cadde sopra
la sala macchine con le lavoratrici ancora all’interno. I primi ad intervenire
sul luogo della tragedia furono gli addetti di un circo equestre che aveva montato
il tendone in paese qualche giorno prima. Sotto le macerie, oltre a centinaia
di feriti c’erano sei donne morte. Due giovanissime, 12 e 13 anni. Una mamma
con la propria figlia e un’altra figlia gravemente ferita.
Questi sono i nomi delle vittime:
Aldeghi Palmira di anni 26;
Colombo Giuseppa di anni 38;
Zuffi Graziosa di anni 45 e la
figlia Ghiesi Maria di anni 12;
Panzeri Luigia di anni 13;
Negri Maria di anni 18.
La storia è questa. Con l’America
c’era una similitudine, oltre alla morte, oltre il fatto che erano donne. Nel
nostro caso, si dice, voce di popolo, non confermata, perché qui non ci furono
processi e nemmeno ricorrenze, e quindi anche noi lo affermiamo molto
sommessamente: le donne erano state chiuse dentro.
Questa è la storia che potrete
vedere nel film di Mattia Conti: TE LA DO ME LA MERICA.
Il giovane regista moltenese ha
sposato in pieno l’idea dell’Associazione Università del Monte di Brianza per
raccontare con la sua macchina da presa una storia dimenticata, recuperata da
pochi documenti giornalistici dell’epoca e soprattutto dal ricordo orale dei
nostri anziani.
È il nostro modo di trasmettere
la Storia, la nostra Storia.
Il film è stato girato a Oggiono;
presso lo stabilimento di Franco Donadeo, che ha la caratteristica di aver mantenuto,
in alcune parti, una struttura architettonica molto simile alle fabbriche di
fine ottocento; alla cascina Ghisolfa dei fratelli Lietti e al Museo della seta
di Garlate, dove sono conservati macchinari ancora perfettamente funzionanti
per la lavorazione della seta.
Il film è drammatico e commovente
e spesso tocca le corde emozionali, grazie all’eccellente lavoro del regista
Mattia Conti, della fotografia di Andrea Volpi e per l’interpretazione in
dialetto brianzolo, notevole, delle attrici della Compagnia teatrale Annonese
“Amici per sempre” e degli attori di “Stendhart” di Oggiono. Le musiche sono
dirette dal maestro Walter Sala con “La Campagnola” di Olgiate Molgora e i
“Promessi Sposi” di Oggiono. Per tutti, il “collante” è stata l’anima irrequieta
di Paola Panzeri.
Il film è stato prodotto grazie
alla passione di tutte queste persone e al contributo tangibile delle aziende Oggionesi:
Novatex e Galbiati Group.
A Oggiono il film sarà proiettato
proprio nella insolita location della fabbrica Donadeo, via Leopardi 2 (Piazza
Stazione).
SABATO 20 GIUGNO alle ore 21
TE LA DO ME LA MERICA
Regia di Mattia Conti
INGRESSO LIBERO