Sabato 20 giugno 2015 - TE LA DO ME LA MERICA a Oggiono




TE LA DO ME LA MERICA – Il film e la storia
«Te la do me la Merica!» (Te la do io l’America). Da ragazzino, era questa una frase ricorrente di mia madre, di fronte a qualche mia richiesta non realizzabile o che andava oltre lo stile di vita di una famiglia operaia.
Nel secolo scorso l’America era il miraggio dei nostri emigranti, alla ricerca di una vita migliore e nell’immaginario collettivo rappresentava e forse ancora oggi rappresenta il mondo libero, la nazione che realizza i sogni impossibili, dove chiunque può dal nulla, grazie alle sue capacità, emergere e diventare qualcuno.
American dream dicono gli americani. Forse è solo un sogno.
E sogno rimase per i lavoratori della fabbrica di camicie Triangle Waist Company di New York in quel fatidico 25 marzo 1911. Fu il più grave incidente industriale della storia di New York. Nel rogo della fabbrica morirono 146 lavoratori, di cui 123 donne, soprattutto immigrate italiane ed ebree. I lavoratori erano stati chiusi a chiave. Bassa retribuzione, zero diritti, sicurezza nulla.
Dopo la tragedia si mosse la politica, i sindacati, ci fu un processo. Tutti assolti i proprietari. Ma ancora oggi ricordiamo quel fatto tragico perché è diventato (8 marzo) la giornata mondiale della donna.
Durante le ricerche per un’iniziativa con l’Associazione culturale Università del Monte di Brianza, legata alla donna brianzola del secolo scorso, al lavoro e alla condizione femminile delle nostre nonne, siamo incappati in un fatto simile a quello americano. Altrettanto tragico, anche se con un numero di morti decisamente inferiore, ma successo prima del rogo di New York, qui a Oggiono e, come spesso accade, dimenticato.
Si torna indietro di oltre 100 anni, nel 1898.
Il periodo storico a cavallo fra l’Unità d’Italia e l’inizio della Prima Guerra Mondiale vede il territorio lecchese, rispetto al resto dell’Italia ancora legato all’agricoltura, già fortemente industrializzato e con un’occupazione oltre la media nazionale, soprattutto nei settori serico e meccanico. L’Italia era al primo posto, a livello mondiale, per la produzione e la lavorazione della seta, e a questo contribuivano molto le fabbriche del nostro territorio. Nelle filande e nei filatoi erano occupate migliaia di persone, per lo più donne e, nonostante la legge vietasse il lavoro minorile, anche molte bambine. Spesso le scuinere (scopinatrici) erano ragazzine di otto, nove anni.
Purtroppo quel periodo corrispose anche all’inizio di una crisi irreversibile del settore, alle prese con ostacoli creditizi e monetari, con la concorrenza giapponese e delle fibre artificiali, della disorganizzazione industriale, che determinarono uno sfruttamento della manodopera spesso malpagata e che porterà comunque, nel giro di trent’anni, alla chiusura di tutti gli opifici.
Il lavoro in filanda era duro: 14 ore al giorno e il salario oltremodo basso: 1 lira, 1 e 20 al giorno, di media, nelle fabbriche Oggionesi, a Lecco 1 lira e 30. Per le bambine la paga era oltremodo irrisoria. Nel libro “La mia Oggiono” dell’indimenticato maestro Franco Pirola è riportata la testimonianza significativa di Sofia Gerosa, soprannominata Sufia del filandon. Nella sua vecchiaia ricordava di aver lavorato da bambina, tutto il suo primo anno per dü scusà, due grembiuli. Ma c’era la crisi, prendere o lasciare.
La tragedia successe la mattina del 1 febbraio 1898, 117 anni fa.
Fin dalla notte precedente, una terribile bufera di vento aveva spazzato tutto il nord Italia, in modo particolare il comasco e la bergamasca. La striscia di Brianza, quella dei laghi, fu sconvolta da un terribile ciclone. Una testimone oculare raccontò che fin dalla notte il tempo prometteva poco di buono, il vento non aveva mai smesso di soffiare e in paese tutti vegliavano. Il 1 febbraio era di martedì, un giorno lavorativo e la gente brianzola, sia che piove, sia che nevica o tempesta o c’è un uragano in atto, va al lavoro regolarmente. Solo le S.S. Quarantore, esposte nei paesi vicini tennero a casa un po’ di donne. E fu la loro salvezza.
Nella sola Oggiono, nonostante la crisi, c’erano 5 grosse filande e 8 filatoi che occupavano un migliaio di persone. La particolarità è, che 4 di questi opifici, erano costruiti nel centro storico del borgo, muro a muro con le abitazioni civili.
Al Filandun si accedeva da via Locatelli; la filanda Amati era in via Giacinto Longoni, dove adesso si trova la carrozzeria Nava; la filanda della “Brusadeluna” in via Lazzaretto; la filanda del signor “Briuschen” in Piazzola (l’edificio del vecchio Oratorio). La quinta era la filanda di Bagnolo del signor Donegana.
Solo il giorno successivo, l'entità del disastro si delineò in tutta la sua tragicità. Tralasciamo le drammatiche notizie giunte dalla bergamasca, dove per la bufera, i crolli interessarono le locali filande, ma concentriamoci su quello che successe nel raggio di pochi chilometri tra Oggiono e Cesana. A Cesana crollò il fumaiolo alto 15 metri della filanda del signor Giulio Ronchetti che sfondando metà della tettoia della filanda, uccise 3 operai.
La tragedia peggiore, come numero di vittime però fu a Oggiono. Verso le otto di mattina l’uragano infuriò sulla chiesa prepositurale, il campanile crollò, sfondò il tetto ammassando il materiale sul pavimento. Fortunatamente in chiesa non c’era nessuno, avendo il Prevosto, proprio in quel giorno, spostato alle sei la messa delle otto (ricordo che c’erano le S.S. Quarantore nei paesi vicini e il Prevosto era impegnato con i parroci dei paesi limitrofi).
Il crollo del campanile deve essere stato come una bomba. Contemporaneamente le sirene degli stabilimenti davano l’allarme creando in paese la stessa sensazione che precede un bombardamento aereo.
Volavano le tegole, i camini. Gli alberi erano sradicati dal terreno.
Alla filanda Amati, i dirigenti, memori di un incidente già accaduto in precedenza, fecero prontamente evacuare la fabbrica e non si ebbero vittime. «A casa, presto, andate a casa tutti!»
E i lavoratori non se lo fecero ripetere perché temevano anche per le loro abitazioni. Ma la tragedia era lì ad aspettarli. Tutti i caminoni, le ciminiere delle 4 filande del paese crollarono contemporaneamente. Purtroppo la ciminiera della filanda Brusadelli cadde sopra la sala macchine con le lavoratrici ancora all’interno. I primi ad intervenire sul luogo della tragedia furono gli addetti di un circo equestre che aveva montato il tendone in paese qualche giorno prima. Sotto le macerie, oltre a centinaia di feriti c’erano sei donne morte. Due giovanissime, 12 e 13 anni. Una mamma con la propria figlia e un’altra figlia gravemente ferita.
Questi sono i nomi delle vittime:
Aldeghi Palmira di anni 26;
Colombo Giuseppa di anni 38;
Zuffi Graziosa di anni 45 e la figlia Ghiesi Maria di anni 12;
Panzeri Luigia di anni 13;
Negri Maria di anni 18.
La storia è questa. Con l’America c’era una similitudine, oltre alla morte, oltre il fatto che erano donne. Nel nostro caso, si dice, voce di popolo, non confermata, perché qui non ci furono processi e nemmeno ricorrenze, e quindi anche noi lo affermiamo molto sommessamente: le donne erano state chiuse dentro.
Questa è la storia che potrete vedere nel film di Mattia Conti: TE LA DO ME LA MERICA.
Il giovane regista moltenese ha sposato in pieno l’idea dell’Associazione Università del Monte di Brianza per raccontare con la sua macchina da presa una storia dimenticata, recuperata da pochi documenti giornalistici dell’epoca e soprattutto dal ricordo orale dei nostri anziani.
È il nostro modo di trasmettere la Storia, la nostra Storia.
Il film è stato girato a Oggiono; presso lo stabilimento di Franco Donadeo, che ha la caratteristica di aver mantenuto, in alcune parti, una struttura architettonica molto simile alle fabbriche di fine ottocento; alla cascina Ghisolfa dei fratelli Lietti e al Museo della seta di Garlate, dove sono conservati macchinari ancora perfettamente funzionanti per la lavorazione della seta.
Il film è drammatico e commovente e spesso tocca le corde emozionali, grazie all’eccellente lavoro del regista Mattia Conti, della fotografia di Andrea Volpi e per l’interpretazione in dialetto brianzolo, notevole, delle attrici della Compagnia teatrale Annonese “Amici per sempre” e degli attori di “Stendhart” di Oggiono. Le musiche sono dirette dal maestro Walter Sala con “La Campagnola” di Olgiate Molgora e i “Promessi Sposi” di Oggiono. Per tutti, il “collante” è stata l’anima irrequieta di Paola Panzeri.
Il film è stato prodotto grazie alla passione di tutte queste persone e al contributo tangibile delle aziende Oggionesi: Novatex e Galbiati Group.

A Oggiono il film sarà proiettato proprio nella insolita location della fabbrica Donadeo, via Leopardi 2 (Piazza Stazione).

SABATO 20 GIUGNO alle ore 21
TE LA DO ME LA MERICA
Regia di Mattia Conti
INGRESSO LIBERO

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